Spazi di Luce

Fotografie tiratura limitata stampa fine art

Esposte:
– Fotofever Parigi 2017
– WOPART Work on paper 2017 Lugano
– PHOTOFESTIVAL 2018 Milano _BIBLIOTECA SORMANI

Nata come strumento per descrivere la realtà, la fotografia ha presto rivelato ben più ampie potenzialità compresa quella davvero sorprendente di rappresentare se stessa confrontandosi con la luce fino a considerarla come soggetto e come specchio interiore della nostra personalissima visione perché, come diceva il fotografo americano George A. Tice, “Tu puoi vedere soltanto ciò che sei pronto a vedere, ciò che rispecchia la tua mente in quel momento particolare”. Parole migliori non si potrebbero trovare per introdurre questa ricerca in cui Lia Stein crea un percorso originale inducendo l’osservatore a una intensa complicità. Gli elementi cui fa ricorso sono pochi ed essenziali: un chiarore diffuso e uno spazio vuoto sono sufficienti per scoprire una dimensione nuova. Il dominio assoluto del bianco che coinvolge tutta la scena obbliga lo sguardo a inseguire le forme geometriche di questa composizione immaginando che la gamma di sfumature corrisponda metaforicamente a quella dei sentimenti. Al contrario di un autore come Hiroshi Sugimoto che usa tempi lunghissimi per imprigionare in un unico bagliore un’infinità di immagini che, sovrapponendosi, finiscono per annullarsi nella luce, Lia Stein preferisce la lievità del tocco rapido con cui coglie aspetti insoliti della realtà. Talvolta la fotografa sceglie una visione frontale che evoca le atmosfere sospese di un teatralità contemporanea svolta in quella stanza vuota dove il pavimento ha l’aspetto di un palcoscenico. L’inseguirsi dei particolari e dell’insieme, del bianco e del nero, del vuoto e del pieno caratterizzano l’insieme di questa ricerca dove la luce assurge a protagonista: buca lo spazio, appare improvvisa dall’alto, si accende come volesse tagliare obliquamente il volume di un edificio, indica qualcosa oltre le finestre accese sul buio della parete su cui si affacciano, si adagia sulle pieghe di un corteo di camicie che si eleva vero l’alto come in una misteriosa installazione che forse parla, nel confronto fra il candore delle stoffe e lo scuro dello loro ombre, della condizione umana.

Roberto Mutti

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