Forme nello Spazio

Fotografie tiratura limitata – Stampa Fine Art

Esposte:
– La Rigueur Du Regard – Istituto Italiano di Cultura Parigi, 2020
– FotoFever Parigi, 2019

Il mondo della ricerca in campo fotografico non si muove in modo lineare, si snoda su sentieri sinuosi, fa dei grandi slanci in avanti, si ferma e magari torna sui suoi passi ma mai per ripetersi, piuttosto per rinnovare antiche intuizioni e – in uno sviluppo dialettico – riproporle in una nuova visione. Sono considerazioni che vengono alla mente di fronte al più recente lavoro di Lia Stein che, pur mantenendosi fedele alla sua poetica caratterizzata da un rigore compositivo di ascendenza geometrica, sceglie ora di allargare l’orizzonte fino a includere una particolarissima riflessione sul tema della matericità che già aveva affrontato in “Pianeta terra”. Ma se in quel caso l’indagine si soffermava sulle superfici delle cave per rivelare un mondo inaspettato di segni, qui la visione si muove su un nuovo piano dove sono più evidenti i richiami alla dimensione di stampo surreale. L’intenzione è quella di andare oltre l’immediatezza della visione immediata per cogliere in una parete, in un’ombra, in un inseguirsi di volumi il rapporto un po’ misterioso che lega le forme allo spazio. Ci sono finestre affacciate sul vuoto per ricevere una luce che scende lieve creando al loro interno ombre nette e insieme leggere ma c’è anche la silhouette imponente di un albero e della figura femminile seduta ai suoi piedi che si staglia sul bianco di un muro. Quello che si richiede all’osservatore è di dedicare una grande attenzione ai soggetti perché solo facendo così si possono cogliere i particolari che caratterizzano queste opere ora solo apparentemente semplici, ora piacevolmente misteriose come nel caso della composizione che accosta elementi architettonici dotati di un grande rigore geometrico come in un gigantesco still life dove si alterano pieni e vuoti, linee nette e curve, superfici piane e ombreggiature appena accennate. A Lia Stein non interessa indicare dove tutto ciò è ambientato ed è evidente che nella sua poetica definite i luoghi di appartenenza è del tutto ininfluente. Ecco ad esempio comparire un’immagine perfettamente divisa in due: la parte di sinistra rivela la granulosità di un muro bianco, quella destra la sagoma parziale di una figura femminile. Analizzando l’insieme ci si accorge di come il muro si trasformi in una quinta che consente alla donna di attraversare tridimensionalmente lo spazio lasciando pochi elementi della sua presenza – una ciocca di capelli, una borsa portata in spalla – e la curiosità di immaginare chi sia. Quando poi Lia Stein si sofferma sulle scale facendo ricorso a mille calibratissime sfumature del bianco, sembra di tornare a vedere gli esercizi di stile come la celebre “Pallina” che Giuseppe Cavalli aveva usato nel 1949 come manifesto della sua estetica tutta giocata sulla stampa ai toni alti. Certo, in questo caso delle scale non esistono più, si vedono solo i segni lasciati su muro e questo sottolinea ancora una volta il senso di voluto spaesamento suggerito dall’autrice che poi, in un altro caso, le scale le raddoppia. Quella che vediamo subito è però solo l’ombra proiettata in una decisa diagonale sulla superficie di un un blocco di marmo, per cogliere quella reale occorre osservare meglio l’immagine fino al margine estremo. Lia Stein ci ricorda così quanto sia difficile stabilire di primo acchito la differenza fra i diversi gradi di realtà ma anche quanto sia piacevole confonderli e lasciare che lo sguardo un poco si perda inseguendo le forme nello spazio.

Roberto Mutti

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